Autobiografia onirica

PLUSVALORE DELLA BAMBINA


Potrei essere la moglie di qualunque marito, pensavo a sette anni e nel frattempo sapevo che non mi sarei sposata mai. La prima volta che ho visto opere d'arte in abbondanza è stato a Londra, inclusa Tate. Destino, che mi sarei fiondata dentro la pittura. Entrate nell'imbuto giallo della fiaba araba! Prendete due tappeti dorati e trovateci le venti differenze. Le sette somiglianze. La zig-zag del lampo, il triangolo di Ra, il semicerchio sulla fibbia del faraone, la goccia di sudore, l'arco intorno al sole, il petalo del fiore e la rosa è una rosa è una rosa è una rosa. Il giardino interno della casa con pareti blu cobalto pesa di grosse arance pendenti dai rami verde scuro. Un verde lucido, con ampie chiazze d'ombra e di profumi oscuri, sensuali. Tutto potrà succedere in quel giardino. Quando la luce con sforzo livido si solleva dalla notte segreta e si schiarisce in rosa, quando alle dieci del mattino, sovrana del cielo, si estende e si gonfia per scoppiare nel calore a mezzogiorno. Quando, tacita, lascia la parola agli uccelli sul ramo nel tardo pomeriggio, ora magica della sera. Tutto potrà succedere in quel giardino. Nei primi tentativi in cerca di liberi passi, libere idee, libere associazioni, libere sensazioni, la luce non c'entrava. Era piuttosto il grigio della pietra che lastricava le vie della città. Era piuttosto il grigio di certi cieli invernali, la pioggia battente sul vetro. Camminavo. Ma adesso, all'improvviso, da dove salta fuori questa macchia nera dell'inchiostro nero? E' Sara che seduta nel banco della prima elementare, ha svitato il calamaio e ne ha bevuto un po'. Sara, dea dei gitani, insegnaci che l'oscurità può servire, che non si perde la luce se si guarda nella tenebra. Ma Sara! Sara! Lascia stare il calamaio! Ogni giorno fuori dall'aula ti aspetta il cambio del grembiule che hai macchiato. E così ho accostato la porta senza pensare che avrei dovuto chiuderla a chiave e mi sono incamminata verso chissà. Improvviso. Ma non sono sullo spazio della scena. Ho sedici battute per esporre me stessa, sedici frammenti, sedici intendimenti, sono nel tempo della scena. Quanti anni hai, mi chiese una donna, velata, dietro la grata della clausura, mentre dalla ruota mi passava uova e rammendi. Quattordic... quindic.... sedici! Quanti? Sedici. Ti piacerebbe far la suora? ... Se cantare ti piace allora vieni, noi si canta sempre, qui. Ma l’hortus della clausura non era il giardino interno della casa blu cobalto e non tornai. Mentre Sara capelli crespi si macchiava un'altra volta, in prima elementare ci spiegarono di enclousers, materia molto ostica per me e non buttava bene, non ne potevo capire, occupata com’ero a seguire il romanzo di gente senza terra che vagava per il mondo, e io la volevo felice, hobos di primo pelo dentro al gran Furore. Ma quando la romanza si spostò su Thomas Hobbes, capivo allora quell’uomo pieno di cattiverie e buon umore, siccome il mondo quando si raffredda scricchiola. All’interno del giardino interno, si muove una lucertola, che mi viene a trovare. Se ne sta a poca distanza a volte mangia un bruco, più spesso mi osserva, girando il capo e l’occhio. La coda. La coda gliela invidio. T’immagini? Cosa sarebbe stato il cinema, la danza con la coda? E certi personaggi di teatro. Il ritratto settecentesco. Con la coda. Grandiosità inesprimibili a questo nostro stadio dell’evoluzione. Com’era bello essere spettatori inesperti, un’epoca fa, dilettanti vorrei dire, quando si andava a teatro senza saperne nulla. Ti bevevi certe panzane e uscivi sorridendo, le godevi. Poi quando capisci non ti diverti più allo stesso modo. Per me non è cambiato molto, chiusa nel mio uovo, nella pellicina bianca e opalescente che non sai se toccarla è fastidio o piacere, ma io nel dentro. Dentro. Dentro al mare dentro al buio, nell’armadio e sotto il letto. Fondo, mare fermo, mare chiuso mare tomba mare senza nulla in superficie, mare mondo, l’anta è aperta, il letto sfatto. Quando la tua vita non è allineata ciò che più spesso ti chiedono le persone è a che ora ti alzi. Gertrud, tu che mi visitavi fin dalle prime ore dell’alba, mio primo inconsapevole erotismo. Gertrud la santa si insinuava tra i fori della tapparella semichiusa e rivelava luce, si insinuava ed io, colpita, inerme, non potevo che subirne la potenza. Come conoscerla? A volte, palmi delle mani al cielo, inginocchiata, cercavo di capire, di farmi conoscere da dio, e di Lei, indovinavo il corpo da una mistica fotografia, granulosa, virata in blu, ma il corpo, quel corpo, non potevo che sfogliarlo tra le pagine dell’opuscolo religioso che avevo tra le mani. Gertrud, carta sottile e opaca, giallastra carta, carta vergata da caratteri sottili. E di una certa qual eleganza, voglio aggiungere. E poi la pittura, dicevamo, la pittura. Quei disegni che tenne tra le mani Pierre Boulez erano i miei. Certo non si scompose, ma nemmeno distolse lo sguardo. Avremmo dovuto vedere, disse, quando sarei cresciuta. Ma io non crebbi mai e quei disegni, sempre ben custoditi, diedero frutti amari e dolci. Vidi, sotto un arco, una volta, una figura nera e velata, era Erminia Lupesca, una bisnonna. Chi sia stato prima di lei, non so, o non ho voluto assimilare dai discorsi famiglieschi di invidie e rivalità, ma da certi segni che fin dai primi anni d’età presi a disegnare sul vapore che la domenica si formava sui vetri della cucina, lunghi pranzi e squisiti lo provocavano, dirò con certezza che tra le antenate riconosco in me una donna imponente, d’altro continente, che danza e batte il piede sul terreno e traccia segni, quei segni, sulle pietre intorno al fuoco. C’è una zingara, sicuro, vagabonda, c’è uno spirito tenero e corruttibile, facile amante delle adulazioni, girovago pittore di visi di fanciulle, come certi che si appartavano alle edicole delle madonne di campagna. E c’è uno scalatore, appassionato. Antenato di ognuno è però quel canarino giallo che lasciato fuori dalla gabbia ogni tanto a sgranchirsi in volo, andava ad appoggiarsi al bordo di un catino, supposto ramo in plastica, e che morì un mattino, il capo sotto l’ala. Gli scommettitori di lotta tra cani queste cose proprio non le sanno. 

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